Derek Raymond, il noir.


Fedele all’aforisma 146 di Nietzsche “E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”(“Al di là del bene e del male”) , Derek Raymond, (Robert William Arthur Cook, Londra,12 giugno 1931-Londra, 30 luglio 1994) promette di portarci nella testa di Lady Macbeth, di Edipo, Di Otello, Di Jack Lo squartatore e null’altro. Ci conduce nei bassifondi della città dove ci sono i senza speranza, i senza futuro, quelli che la vita ha triturato e lasciato ai margini. Una promessa di squallore, di orrore, di rimpianti. E comprendo che possa spaventare ma anche l’essere rassicurati a oltranza da un genere che dovrebbe prefiggersi l’indagine sull'animo umano spaventa. Di più, atterrisce.
Nel suo magistrale “Hidden Files”, “Stanze nascoste”,il maestro Raymond ci dice che “una delle funzioni dello scrittore è di misurare ciò che è stato dimenticato”. E trovo questa frase straziante, in perfetta sintonia con le prime e le ultime pagine di quel bellissimo romanzo che è “Kamchatka” di Marcello Figueras . Dove il ricordo del padre desaparecido che bacia il figlio è sempre diverso con il passare degli anni che separano da quell'evento eppure sempre presente come in un circolo temporale.
Che fine ha fatto il simpatico studente di ingegneria che abitava al terzo piano di Avenida Indipendencia nel Barrio San Telmo? Una notte abbiamo sentito un rumore, ci siamo affacciati e una Ford Falcon verde scuro senza targa se l'è portato via.

Che fine ha fatto l'avvocato tanto distinto che abitava al nr.90 di Rua Jose Victorino Lastarria? Pare che l'abbiano visto per l'ultima volta in una Chevrolet C 10 , in mezzo a uomini in giacca e cravatta e con la faccia da tagliagole. Chi li ricorda?

Raccontare storie che valga la pena raccontare, in modo nomade, sotto le stelle, attorno al fuoco, al sicuro dai lupi, quando un goccio d'acquavite scalda il cuore e ci si può finalmente permettere una risata, una confidenza a fine giornata; sempre vigili perché il buio ci circonda. Questo è il compito dello scrittore, in un mondo duro, cattivo, spietato, ovvero reale.
“E morì a occhi aperti”, “ aprile è il più crudele dei mesi”, “Il mio nome era Dora Suarez”, “Il museo dell’Inferno”, “ Come vivono i morti” , “Quando cala la nebbia rossa” , “ Stanze nascoste”,questi i titoli che ho potuto leggere. Uno scrittore inglese, con una vita da francese e trucchi da italiano. Un ricco borghese, un contadino, un viticoltore, un trafficante di film porno, un faccendiere per la criminalità londinese, questo era l'uomo e questo era lo scrittore.
I primi tre titoli citati sono un viaggio negli inferi, struggenti, amari, velenosi eppure irrinunciabili, fondamentali. Raccontano della passiva osservazione della morte, della fredda follia dell’omicidio e dell’ossessione di un detective per la vittima e per la sua vita disperata. Quella Dora reale o immaginaria che ha quasi reso pazzo Raymond. Che lo ha portato vicino alla musica dei Gallon Drunk. Le altre due sono storie da armadio ammuffito: l’amore oltre la vita e la banalità borghese del male. Ma anche poesia della descrizione e lucida analisi della mente criminale. Il sergente senza nome in forza alla A14, Sezione Delitti Irrisolti, cerca con i suoi mezzi spuntati di incidere nell'esistente ma tutto ciò che riesce a fare è “misurare ciò che è stato dimenticato”, appunto.
“Quando cala la nebbia rossa”, sembrerebbe non far parte del ciclo della Factory, o almeno non in modo diretto. Qui lo sguardo è ancora di più rivolto al criminale, a quello solitario, disperato, indurito dalla strada ma con una regola morale.
Nemmeno una parola di quelle lette in questi sette volumi è servita a rassicurarmi, a confortarmi, a divertirmi. Ma a guardar bene Dostoevskij diverte? Dürrenmatt diverte ? Sciascia fa ridere? E Zola? e Hemingway? E Shakespeare diverte? Si, forse il bardo si , almeno nelle commedie ,ma c'è sempre qualcosa di profondo, di vero, di fondamentale.
Ho sfogliato “Hidden files”come una Bibbia; l’ho poggiato in grembo sotto l’albero della Bodhi.
E ho recitato le sue regole come un mantra: 1. “Il noir non è letteratura d’evasione.” 2.“ Lo scrittore deve diventare parte dei personaggi, e loro devono diventare parte di lui”. 3.“lo scrittore corre un serio pericolo perché deve cancellare ogni distanza tra se stesso e i personaggi.” 4.” In ogni caso alla fine dell’opera lo scrittore deve aver provato gli stessi sentimenti di colpa e di terrore dei personaggi.” (pag.146)
E ancora:1. “Per scrivere un noir non ti serve essere laureato a pieni voti.” 2. “Ti serve un po' di metafisica, non importa dove l'hai appresa (la strada è un posto buono con un altro), e non importa in quale forma.” 3. Non riuscirai mai a ritrarre il diavolo semplicemente dipingendo con sei dita. (pag.195)
“Il noir serve a impedirci di dimenticare, ed è il motivo per cui non è in voga” ( pag.178)
“Tuttavia penso che il noir si distingua perché è fratello nella povertà, difensore della miseria, delle masse alla deriva, della disperazione”… “il noir è un mezzo che distrugge il male definendolo, e mostrando tutto ciò che di negativo esiste nella nostra società” ( pag. 141).
Cresciuto tra le bombe della seconda guerra mondiale, educato a Eton, testimone della nascita e della caduta di Reggie e Ronnie Kray, signori dell’East End nella swinging London degli anni 60, Derek Raymond ha raccontato la sua Londra, la Sua Inghilterra, occupandosi di chi non aveva più voce per chiedere aiuto. Spazzatura umana da mettere sotto il tappeto. Lo stesso che proprio il noir dovrebbe sollevare per mostrare i guasti della nostra società.
Se hai sentito sbattere la porta del carcere, se ti sei mai seduto a parlare con un assassino, allora comprendi che Raymond non finge. Nessuna stucchevolezza, tutto è come deve essere.
Ma anche altri Raymond sono stati maestri. Le prime due pagine di “La vuoi vedere una cosa”di Raymond Carver, a mio avviso, sono puro noir. Nessuno viene ucciso, ma è noir. Tutti i romanzi e i racconti di Raymond Chandler, sono noir, a volte molto “divertente”, ma noir. “Uomini e topi” di Steinbeck, per passare ad altro nome: cento per cento noir. Tra i molti scrittori di genere, e chiedo scusa per quelli che sto dimenticando, Raymond, Chandler, Montalban, Izzo, Sciascia, Ellroy, James Lee Burke, Dürrenmatt, Chandler, a volte Don Winslow, sono i nomi che mi aiutano a “misurare”.
Ma io potrei essere l’aspirante scrittore bilioso, l’ invidioso senza talento che vuole riconoscere meriti solo ai grandi, defunti o lontani che siano, cercando di sminuire i vicini e viventi scrittori di successo. lo so, ne sono consapevole. Potrei esserlo. A voi la decisione. Io dico solo che la mia biblioteca è colma di volumi chi mi rassicurano, che mi fanno divertire; non disprezzo certo l'investigatore professionista o il dilettante che cucinano o mangiano e che riflettono, come specchi ustori, il sole del Mediterraneo o della California, non li disprezzo affatto, li amo, li adoro, mi aiutano ad affrontare giorni cupi e grigi. Ma soffro di sindrome enciclopedica cronica e, in tutta sincerità , senza offesa per nessuno, mal li vedo elencati sotto la voce “noir”. Derek Raymond invece, per la sua grandezza, può stare ovunque.
Paolo Tagliaferri Civitavecchia, 19 novembre 2018